
cosa possono insegnare i ballerini sulla sostenibilità del talento
Chi conosce il mondo della danza ci spiega che il talento non si vede solo quando un ballerino è in scena. Si vede in tutto ciò che accade prima e dopo: l'allenamento, il riscaldamento, il recupero, il defaticamento, i micro-momenti in cui la mente e il corpo tornano a parlarsi dopo lo sforzo.
È lì che la danza mostra qualcosa di chiaro: il talento è un sistema, non un frammento. Osservare i ballerini ricorda anche che il gesto diventa arte quando mente e corpo trovano spazio per oscillare tra attivazione e recupero.
Guardare la danza attraverso la lente della psicologia dello
sport e delle neuroscienze del movimento permette di cogliere un aspetto molto
chiaro: ciò che vediamo sul palco è solo una piccola parte del processo. La
performance è la superficie di un lavoro interno — fisico, mentale e regolativo
— molto più ampio. Nell'arco di una giornata ci sono oscillazioni continue:
preparazione, picchi di intensità, pause brevi, rientri lenti, adattamenti
improvvisi, momenti di ascolto. Sono movimenti invisibili, ma fondamentali.
La qualità non nasce dal gesto in sé: nasce dalla regolazione che
precede e segue il gesto.
E questa riorganizzazione fa parte del lavoro. È proprio nella danza che diventa evidente un principio che spesso, in altri contesti, rimane implicito: la salute non è qualcosa da aggiungere al lavoro. È ciò che permette al lavoro di esistere.
Nel gesto artistico come nella creazione, la mente non è separata dal corpo, né il corpo dal sistema che lo sostiene. È tutto un unico movimento.
I ballerini lo sanno da sempre: il modo in cui ti alleni, il modo in cui recuperi, il modo in cui torni giù dopo un picco determina ciò che potrai fare al prossimo.
Il defaticamento è una soglia. serve per riportare il sistema dentro una condizione in cui può imparare davvero. Il corpo scarica, la mente decodifica, l'errore diventa informazione. È in questi spazi che la tecnica migliora, non in quelli più visibili.
E poi c'è il post-performance, uno dei momenti più delicati
nella vita di un ballerino. Dopo un picco di intensità emotiva e fisica, il
sistema nervoso non torna subito alla normalità.
La ricerca lo conferma: occorrono minuti, a volte ore.
Non perché il ballerino sia fragile, ma perché è umano. Quel rientro è parte
del processo.
Il talento, allora, non è un atto di intensità: è un
equilibrio tra preparazione, ascolto, variazione, recupero, e un contesto che
permette questi passaggi.
È un processo che respira.
Ed è proprio questo modo di vedere che guida il Creative
Mental Health Lab:
trasformare il modo in cui pensiamo la performance creativa, portando
la salute mentale nel cuore del lavoro — non come un beneficio o
prevenzione incentrata sull'individuo, ma come una condizione strutturale
perché sensibilità, tecnica e continuità possano convivere nel tempo.
Fouzia Draoua
per approfondire: Ericsson, K. Anders, Charness, N., Hoffman, R. R., & Feltovich, P. J. (Eds.). (2006). The Cambridge Handbook of Expertise and Expert Performance. Cambridge University Press.
