Cosa può farci vedere lo sport sul modo in cui lavoriamo
Il ritmo non è costanza: è variazione
Nello sport il ritmo non è mai una linea continua.
Un tennista, un pilota, un ciclista, un nuotatore modulano l'intensità in modo naturale: ci sono accelerazioni, rallentamenti, micro-pause, momenti di aggancio e momenti di recupero.
È proprio questa variazione che permette precisione, presenza, qualità.
Guardare questo meccanismo apre una domanda utile anche per il lavoro creativo:
in che modo l'alternanza — e non la spinta costante — sostiene la nostra capacità di pensare, scegliere e creare?
Perché, se nello sport la variazione è ciò che protegge la performance, è interessante chiedersi come una logica simile possa supportare anche i compiti cognitivi complessi.
Non nel senso di "imitare lo sport", ma di osservare un principio fisiologico che accomuna tutti:
la mente lavora meglio quando può muoversi in onde, non in blocchi continui.
Il punto, allora, non è stabilire cosa sia giusto o sbagliato.
Il punto è aprire lo sguardo:
quali ritmi rendono possibile la chiarezza mentale?
E come possiamo riconoscerli nel nostro modo di lavorare, così da sostenere l'attenzione invece di consumarla?
È questo tipo di domande che nel Lab ci permette di trasformare intuizioni provenienti dallo sport in insight utili per i contesti creativi: non per opporre mondi diversi, ma per leggere meglio ciò che il sistema nervoso ci sta già mostrando.
