Nel lavoro creativo, il successo è un decollo. La salute mentale dipende da come si atterra.

Nelle professioni che coinvolgono intensamente cognizioni e emozioni, la performance qualunque forma prenda, non finisce quando si chiude il palco, o quando l'obiettivo è raggiunto, o quando si spegne il microfono.

 Finisce quando la mente riesce a tornare al livello in cui può sentirsi di nuovo "a casa".

Da psicologa che osserva questi processi da vicino, mi è chiaro che non parliamo di emozioni "forti" o di caratteri "intensi". Parliamo anche di neurofisiologia.

La performance, quella vera, quella che chiede presenza, precisione, esposizione, mette in moto un circuito specifico del cervello: il sistema di attivazione dopamina–adrenalina. È un acceleratore naturale, progettato per farci salire di quota in fretta: concentrarsi, reagire, performare.

E infatti il picco è un decollo.

Il nodo non è lì.
Il nodo arriva dopo.

Quando la scena si chiude, il corpo torna a terra.
La mente invece molto meno.
La biochimica del picco resta in circolo più a lungo dell'evento stesso: la dopamina ha un tempo di decadimento lento, l'adrenalina ancora di più.Il risultato è quel momento sospeso che tanti creativi descrivono senza trovare le parole: presenti e assenti allo stesso tempo.

Gli atleti questo meccanismo lo conoscono alla perfezione.
La fisiologia sportiva considera il post-performance una fase della performance.
Non è un "dopo", è una parte integrata del gesto atletico. Il defaticamento serve a riconsegnare al sistema nervoso un atterraggio coerente con il volo appena fatto.

Il sistema nervoso non funziona a switch.

Funziona a transizioni,

Nel mondo creativo, che osservo da molti anni, invece, questa fase spesso salta.
E quando la transizione non c'è, il crash è quasi inevitabile: irritabilità, vuoto, iper–analisi, difficoltà a dormire, quella strana sensazione di "rimbalzo interno" che non si riesce a spiegare a parole.

Mettendo insieme ciò che vedo ogni giorno e ciò che sappiamo dalle neuroscienze, diventa evidente che:

non è la performance a logorare, è l'assenza dell'atterraggio.

Il punto è che ad oggi la ricerca che mette insieme neuroscienze, psicologia del lavoro creativo e condizioni reali dei team è frammentaria; in Europa sono pochissimi i luoghi che la trattano come area autonoma.
Eppure il lavoro creativo sostiene interi settori culturali, economici e aziendali: meritava una lente dedicata.

Il Creative Mental Health Lab prende forma per rispondere a questa esigenza. Un approccio innovativo per osservare queste transizioni, leggerne i meccanismi e trasformarle in competenze, pratiche e cultura.
Non per "correggere" ciò che non va, ma per dare forma a ciò che serve perché il lavoro creativo resti sostenibile nel tempo.

In un ecosistema che parla moltissimo di picchi, il Lab vuole portare attenzione su ciò che garantisce continuità: l'atterraggio.

Fouzia Draoua

Creative Mental Health Lab, Director