Parlare di obiettivi SMART ai creativi è come chiedere a un’orchidea di crescere con una checklist ISO.
Riflessione di una psicologa che ama adattare i modelli perfetti alle realtà imperfette.
E questo diventa evidente proprio nei lavori che richiedono presenza cognitiva. emotiva e capacità di creare: i team creativi.
Il modello degli obiettivi SMART ne è un esempio.
Nei team di lavoro – e spesso anche nei training manageriali – ci affidiamo agli obiettivi SMART (Specific, Measurable, Achievable, Relevant, Time-bound) per dare forma e direzione ai progetti.
E funzionano: sono strumenti solidi, efficaci, perfetti quando il percorso è già chiaro.
Il problema nasce prima.
Qui la creazione si riferisce a tutto quel lavoro che, nelle organizzazioni, richiede di immaginare ciò che ancora non esiste, anche nel sostenere e promuovere un progetto artistico. Creare, nelle aziende, significa anche generare soluzioni nuove, aprire scenari, progettare prodotti, processi, strategie, contenuti, trovare idee che non hanno ancora un perimetro definito.
È un atto di complessità.
Ed è qui che il modello SMART mostra il suo limite:
è perfetto nella parte che costruisce, molto meno nella parte che inventa.
Per quanto oggi esistano tecniche, framework e metodi per facilitare l'arrivo delle idee, il processo creativo custodisce ancora una complessità che nessun modello lineare può contenere del tutto.
È una fase fatta di tentativi, intuizioni, false partenze, deviazioni, riformulazioni.
Una fase in cui le domande generano altre domande, e in cui il pensiero si muove prima di potersi spiegare.
E qui emerge un altro segnale che molti manager conoscono bene. Quando lavori con team creativi o innovazione, senti spesso dire:
"Il nostro è un lavoro particolare."
Non è una frase di chi vuole sottrarsi alla gestione.
È un modo per dire: "Non potete davvero applicare le stesse regole di tutto il resto."
E, di fatto, hanno ragione.
Perché oggi non sappiamo ancora come — come trainer, coach, HR o manager — dare indicazioni che rispettino davvero la fase esplorativa del lavoro creativo.
Sappiamo guidare la delivery, ma non sappiamo sostenere il momento in cui l'idea ancora non c'è.
Il risultato è quella oscillazione continua:
da un lato il controllo, che irrigidisce;
dall'altro assenza di struttura, che disorienta.
Nel mezzo, persone brillantissime che accumulano segnali che spesso leggiamo troppo tardi: sovraccarico, difficoltà a staccare, iper-attivazione continua, cicli mentali che non trovano decompressione.
quindi?
non serve un altro modello.
Finora abbiamo adattato strumenti pensati per lavori lineari a processi che lineari non sono. Il punto non è fare più modelli.
Il punto è smettere di usare quelli sbagliati per il tipo di lavoro che abbiamo davanti.
Ed è esattamente in questo spazio che nasce il Creative Mental Health Lab:
per costruire linguaggi, riferimenti e strumenti che permettano di accompagnare la fase esplorativa senza soffocarla, dare riferimenti senza togliere ossigeno, proteggere la mente senza limitarne la libertà.
Perché una cosa è certa:
non si può gestire la creatività con gli strumenti della prevedibilità.
Ma si può costruire un ecosistema che le permetta di vivere senza bruciarsi.
Director@Creative Mental Health Lab
